giovedì 18 aprile 2013

A furor di popolo

Nel post scritto in precedenza, ho cercato di analizzare i due candidati alla presidenza della Repubblica, Marini e Rodotà, basandomi unicamente sui loro curriculum, tralasciando tutti quegli aspetti e metodologie che nascondono l'elezione di uno o dell'altro candidato.
Da un lato la candidatura di Marini è scaturita da un dibattito, per quanto breve possa essere stato, tra le diverse componenti interne al Partito Democratico, a cui è seguito un dialogo con il Popolo delle Libertà e con le forze centriste per valutare se la sua figura possa trovare il consenso e la rappresentanza anche delle altre forze che vanno a comporre l'emiciclo parlamentare. Una selezione dunque che appare puramente collegiale, che non crea fazionismi ma che cerca invece di trovare il maggior consenso possibile, con l'unico scopo di rappresentare una porzione politica (e quindi societaria) più ampia possibile.
Dall'altro la candidatura di Rodotà è scaturita da un'elezione telematica tenutasi tra determinati iscritti al Movimento 5 Stelle (solo quelli iscritti al blog del leader Beppe Grillo). Eliminata l'ipotesi Gabbanelli, Rodotà è stato presentato come candidato del Movimento e come rappresentante di una ipotetica cospicua porzione di società che desidera segnare un ampio distacco dal recente passato politico. Una selezione che appare quindi ambigua, perchè presentata come un'espressione popolare quando trattasi invece di una scelta partigiana, effettuata da una componente più che minoritaria dell'elettorato, e che è stata rinforzata grazie ad una possibile ipotesi di alleanza governativa con quel Movimento che fino a pochi giorni fa aveva chiuso qualsiasi ipotesi di governo con i cosiddetti "partiti tradizionali" (di fatto il Partito Democratico e i suoi alleati).
La figura di Stefano Rodotà viene così presentata con una metodologia che non posso che rifiutare, un sistema populistico che cerca continuamente di bypassare i riferimenti democratici come i partiti e le istituzioni, riconducendo continuamente alla folla la decisione ultimativa. Un metodo che erroneamente è stato definito come puramente democratico, perchè in realtà quella folla non rappresenta la totalità degli individui che compongono la società, ma solo una parte di essi. Un metodo che a lungo termine conduce all'indebolimento dei meccanismi democratici e quindi al collasso del sistema esattamente come accaduto negli anni Settanta in quell'America Latina che nel giro di pochi anni ha visto cadere tutte le sue democrazie instabili, sostituite con dei governi militari dispotici e fascisti.
Viceversa la scelta di Marini viene interpretata come la decisione di una fantomatica burocrazia politica che si rifiuta di ascoltare le opinioni di quella folla che ha ridotto la partecipazione partitica ai minimi storici. Una decisione che pare non essere interpretata come il frutto di un dibattito e di una mediazione, ma come una sorta di "inciucio" frutto dell'indifferenza dei politici nei confronti dei sentimenti dell'elettorato. Un'accordo quello tra Centro-Sinistra e Centro-Destra che viene rifiutato per via della figura che rappresenta una delle due controparti: un Silvio Berlusconi che non viene considerato un interlocutore legittimo per via di quei suoi comportamenti che hanno umiliato le istituzioni e il Paese agli occhi della comunità internazionale.
In ultima analisi, le proteste e il malumore che sta caratterizzando la società italiana negli ultimi mesi deve essere canalizzato dal sistema prima che diventi distruttivo per la democrazia, una tensione tangibile che rischia di diventare violenza politica come nella vicina Grecia. Certamente l'elezione di Marini porterà alla lacerazione del Partito Democratico, mentre la scelta di Rodotà ci permetterà di preservare quell'ultimo argine che ci protegge dalla deriva populistica. In un periodo difficile come quello che stiamo vivendo, i politici devono compiere scelte coraggiose ma devono essere capaci di saggiare le opinioni di quella folla che sceglie sempre Barabba. Se anche solo l'ipotesi Marini scatena questa violenza mediatica e questo malcontento che appare diffuso nella società, Rodotà potrebbe mantenere un certo livello di quiete che permetterebbe alle poche forze strutturate rimaste di compattarsi e consolidare tutto il sistema. In questo caso il rischio sarebbe quello di tradire il proprio meccanismo, quel sistema democratico interno che ha espresso Marini, una incongruenza che a lungo termine potrebbe però essere metabolizzata grazie a una rinnovata iniezione di fiducia nelle strutture della democrazia.

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