martedì 30 aprile 2013

Qui si muore democristiani

I fatti di questi giorni, l'emotività, la rabbia e la confusione che sono scaturiti dall'elezione del governo PD-PDL a guida Letta, mi portano a domandarmi su cosa sia la tanto sbandierata Sinistra; sul perchè l'espressione finale di questa Sinistra sia un governo che sa molto di quel CAF tanto disprezzato nei primi anni Ottanta (l'alleanza Craxi-Andreotti-Forlani); ma soprattutto perchè questa Sinistra non riesce mai concretamente a diventare forza di governo.
"Si muore democristiani" è la frase che meglio riassume il nostro Paese, un'Italia che è vittima di quella mentalità cattolico-assistenzialista che vede lo Stato come un mero distributore di servizi e non come l'espressione di una comune organizzazione civile e democratica. Una mentalità cattolica che permea anche quella mistica Sinistra di cui tanto si parla oggi: una visione del mondo pietistica, che vede nel derelitto una povera vittima del mondo consumista e non si domanda il motivo che ha spinto quella persona a vivere all'ombra di un cavalcavia, non analizza quelle cause che magari potrebbero essere imputabili alla vittima stessa che diventa così carnefice di se stessa.
Una Sinistra macchiata dalle logiche e dalla mentalità cattolica, che ha quindi perso la sua identità nel disperato tentativo di equiparare tutte le persone indiscriminatamente, senza sviluppare l'individuo, senza accrescerlo come in qualsiasi processo evolutivo, ma mettendolo drasticamente sullo stesso piano anche di coloro che hanno invece dovuto combattere con le unghie e con i denti per raggiungere quella posizione.
Una parola - Sinistra - di cui si sono riempiti la bocca personaggi che si sono reputati i portatori della "vera Sinistra". Esemplificativo è il caso di una neo eletta che al mio rifiuto di assisterla nella campagna elettorale - per ragioni non politiche ma personali - mi rispose dicendo: "allora puoi star sicuro che non ti sceglierò come portaborse". Una frase agghiacciante, che mi ha freddato all'istante perchè mai mi sarei aspettato sarebbe uscita dalle sue labbra. Una frase che ho sentito espressa anche da personaggi locali molto vicini al pensiero cattolico, ma che invece non ha avuto lo stesso effetto su di me proprio perchè da loro me lo sarei aspettato.
Una Sinistra che pretende di essere ricostruita ancora, ancora e ancora, come una eterna città in rovina ormai disabitata e saccheggiata dagli sciacalli, alla continua ricerca di quei pochi preziosi rimasti sotto alle macerie dei fasti passati.

domenica 21 aprile 2013

LA FINE

L'elezione del presidente della Repubblica rappresenta certamente la pietra tombale per un Partito Democratico e per un Centro-Sinistra per come li abbiamo intesi fino ad oggi. Nel giro di neanche 24 ore, la situazione si è evoluta con una rapidità tale da devastare le dirigenze dell'ultimo partito non personalistico rimasto e da scatenare un rifiuto nel suo elettorato così profondo che sarà difficilmente colmabile nel giro di breve tempo.
Un serie di errori fatali che sono ricaduti completamente sulle spalle di un Centro-Sinistra ormai devastato, diviso e frammentato come il suo maggiore partito. Già da quella prima candidatura di Franco Marini, il PD ha dimostrato tutte le sue divisioni interne, mostrandole all'opinione pubblica nel modo peggiore, attraverso incoerenze tra le decisioni assembleari e l'effettivo voto in aula. La situazione poi è precipitata proprio con la candidatura di quel padre storico del Partito Democratico, quel Romano Prodi che non poteva perde il sostegno di quasi il 20% dei suoi rappresentanti parlamentari: 104 "franchi tiratori" come li chiamano i telegiornali, che hanno mostrato una metodologia tipicamente democristiana, un'incoerenza tra le intenzioni dichiarate e l'effettivo voto per ragioni che possiamo solo immaginare, come ad esempio il risentimento verso la sconfitta della candidatura del capocorrente, o l'inesperienza vista la giovanissima età, o peggio ancora una precisa operazione di demolizione della leadership partitica con lo scopo di sostituirla con la propria, anche a costo di demolire pezzo dopo pezzo quello stesso partito che così avidamente si punta a governare.
Una serie di fatali errori, che sono stati amplificati dalla mancata discussione dell'ambigua candidatura di Stefano Rodotà. Uso questo particolare termine perchè il dubbio era se la sua candidatura, portata avanti dal Movimento 5 Stelle, fosse effettivamente fine a stessa o se invece nascondeva una possibile trappola che spingesse il PD nella braccia dei guru della Rete, in modo tale da diventare quest'ultimi gli effettivi detentori del potere anche se usciti sconfitti dalle elezioni. Un'incertezza fatale, che complice la forza mediatica ed emotiva di Beppe Grillo, ha portato la dirigenza del PD ad escluderla aprioristicamente, quando invece sarebbe bastato rischiare la frattura interna (che si è presentata comunque attraverso un'altro candidato) sostenendolo in una sola votazione, in modo che una volta uscito sconfitto si fosse potuto giustificare la ricercata di un'altro possibile candidato (magari più esperto e condivisibile dalle diverse parti). Una sottovalutazione fatale dell'effetto che certe decisioni avrebbero avuto sull'opinione pubblica e sugli stessi compagni di partito, che nasce da una carenza di comunicazione e di cura dell'immagine che da troppo tempo caratterizza questo Centro-Sinistra (vedi foto sopra).
Un fallimento che fa crollare la fiducia nel Centro-Sinistra e spalanca le porte al successo di quel Movimento tanto discriminato. Una serie di errori fatali che non possono che ricadere sulle spalle di quella dirigenza del Partito Democratico che non può nascondersi dietro alla particolare difficoltà della situazione politica. Un crollo che ora apre inevitabilmente una nuova stagione per la Sinistra che dovrà innanzitutto scovare ed eliminare i "tiratori" (che attraverso un semplice gioco di parole diventa facilmente "traditori"), ricreare un alveo di rappresentanza omogeneo e uniforme nelle progettualità e nella disciplina di partito, e ricominciare a lavorare fin da domani per ritrovare la fiducia del suo stesso elettorato.

giovedì 18 aprile 2013

A furor di popolo

Nel post scritto in precedenza, ho cercato di analizzare i due candidati alla presidenza della Repubblica, Marini e Rodotà, basandomi unicamente sui loro curriculum, tralasciando tutti quegli aspetti e metodologie che nascondono l'elezione di uno o dell'altro candidato.
Da un lato la candidatura di Marini è scaturita da un dibattito, per quanto breve possa essere stato, tra le diverse componenti interne al Partito Democratico, a cui è seguito un dialogo con il Popolo delle Libertà e con le forze centriste per valutare se la sua figura possa trovare il consenso e la rappresentanza anche delle altre forze che vanno a comporre l'emiciclo parlamentare. Una selezione dunque che appare puramente collegiale, che non crea fazionismi ma che cerca invece di trovare il maggior consenso possibile, con l'unico scopo di rappresentare una porzione politica (e quindi societaria) più ampia possibile.
Dall'altro la candidatura di Rodotà è scaturita da un'elezione telematica tenutasi tra determinati iscritti al Movimento 5 Stelle (solo quelli iscritti al blog del leader Beppe Grillo). Eliminata l'ipotesi Gabbanelli, Rodotà è stato presentato come candidato del Movimento e come rappresentante di una ipotetica cospicua porzione di società che desidera segnare un ampio distacco dal recente passato politico. Una selezione che appare quindi ambigua, perchè presentata come un'espressione popolare quando trattasi invece di una scelta partigiana, effettuata da una componente più che minoritaria dell'elettorato, e che è stata rinforzata grazie ad una possibile ipotesi di alleanza governativa con quel Movimento che fino a pochi giorni fa aveva chiuso qualsiasi ipotesi di governo con i cosiddetti "partiti tradizionali" (di fatto il Partito Democratico e i suoi alleati).
La figura di Stefano Rodotà viene così presentata con una metodologia che non posso che rifiutare, un sistema populistico che cerca continuamente di bypassare i riferimenti democratici come i partiti e le istituzioni, riconducendo continuamente alla folla la decisione ultimativa. Un metodo che erroneamente è stato definito come puramente democratico, perchè in realtà quella folla non rappresenta la totalità degli individui che compongono la società, ma solo una parte di essi. Un metodo che a lungo termine conduce all'indebolimento dei meccanismi democratici e quindi al collasso del sistema esattamente come accaduto negli anni Settanta in quell'America Latina che nel giro di pochi anni ha visto cadere tutte le sue democrazie instabili, sostituite con dei governi militari dispotici e fascisti.
Viceversa la scelta di Marini viene interpretata come la decisione di una fantomatica burocrazia politica che si rifiuta di ascoltare le opinioni di quella folla che ha ridotto la partecipazione partitica ai minimi storici. Una decisione che pare non essere interpretata come il frutto di un dibattito e di una mediazione, ma come una sorta di "inciucio" frutto dell'indifferenza dei politici nei confronti dei sentimenti dell'elettorato. Un'accordo quello tra Centro-Sinistra e Centro-Destra che viene rifiutato per via della figura che rappresenta una delle due controparti: un Silvio Berlusconi che non viene considerato un interlocutore legittimo per via di quei suoi comportamenti che hanno umiliato le istituzioni e il Paese agli occhi della comunità internazionale.
In ultima analisi, le proteste e il malumore che sta caratterizzando la società italiana negli ultimi mesi deve essere canalizzato dal sistema prima che diventi distruttivo per la democrazia, una tensione tangibile che rischia di diventare violenza politica come nella vicina Grecia. Certamente l'elezione di Marini porterà alla lacerazione del Partito Democratico, mentre la scelta di Rodotà ci permetterà di preservare quell'ultimo argine che ci protegge dalla deriva populistica. In un periodo difficile come quello che stiamo vivendo, i politici devono compiere scelte coraggiose ma devono essere capaci di saggiare le opinioni di quella folla che sceglie sempre Barabba. Se anche solo l'ipotesi Marini scatena questa violenza mediatica e questo malcontento che appare diffuso nella società, Rodotà potrebbe mantenere un certo livello di quiete che permetterebbe alle poche forze strutturate rimaste di compattarsi e consolidare tutto il sistema. In questo caso il rischio sarebbe quello di tradire il proprio meccanismo, quel sistema democratico interno che ha espresso Marini, una incongruenza che a lungo termine potrebbe però essere metabolizzata grazie a una rinnovata iniezione di fiducia nelle strutture della democrazia.

Due anime

Che la democrazia italiana si ormai a un passo dalla sua dissoluzione ormai è una questione appurata. Il clima di forte ostilità che si è venuto a creare in seguito alle candidature per la presidenza della Repubblica, dimostrano ancora una volta le difficoltà che il Partito Democratico, l'ultima forza partito rimasta unita ed operativa (seppur con tutti i suoi limiti), deve affrontare nel disperato tentativo di trovare una qualche forma di stabilità politica.
Attaccato sia esternamente, da Grillo e Berlusconi, che internamente, da Renzi e i "franchi tiratori" (paragone improprio ma simbolico dei personalismi che ormai divorano il dibattito politico nostrano), l'ultimo partito democratico e non personalistico rimasto Italia, deve accollarsi il peso di esprimere una candidatura per il Quirinale che sia al tempo stesso condivisibile dalle altre forze politiche e rappresentativa del Paese (inteso nel suo senso più ampio e non nel differente umore quotidiano che travaglia il popolo sovrano).
Partendo da questo presupposto viene quindi da chiedersi se i due candidati più forti, Franco Marini e Stefano Rodotà, rispondano a queste due necessità. Il primo viene dal mondo sindacale d'un tempo, da quella CISL di Pastori, Storti e Carniti che era effettivamente un'organizzazione volta alla protezione del mondo operaio e non autoreferenziale come quella odierna. Il secondo è un giurista, ha partecipato alla scrittura della Carta dei Diritti Fondamentali Europea ed è stato garante della Privacy per circa otto anni.
Due curriculum più che rispettabili che quindi li qualificano come possibili candidati al colle più alto di Roma (altrettanto non si poteva dire di una certa Milena Gabbanelli, che per quanto possa essere considerata un'ottima giornalista d'inchiesta, non possiede quelle qualifiche necessarie per rappresentare uno Stato complicato come il nostro), ma che non risolve il rebus su chi dei due sia il più appropriato in una fase difficile come questa. Mentre Marini può rappresentare tutte gli schieramenti e quindi unire le diverse componenti del Parlamento, Rodotà può esprimere al meglio quel desiderio di cambiamento che a gran voce viene espresso dagli italiani.  
E' proprio in quest'ultima constatazione che scatta il cortocircuito che ci ha portato a questa impasse: da un lato il desiderio di rinnovare drasticamente la politica e dall'altro la considerevole forza che quel Silvio Berlusconi, l'emblema dello status quo, possiede ancora grazie al sostegno popolare. Due anime che rendono la società schizofrenica e portano a considerare qualsiasi forma di mediazione come una sorta di "inciucio". 
Sinceramente non saprei verso quale dei due candidati sbilanciarmi, certamente mi ritrovo idealmente più vicino a Rodotà, ma la forza che ha Marini di rappresentare unitariamente le diverse fazioni politiche (e quindi le diverse componenti dell'elettorato) non può essere lasciata in secondo piano. Idealità o razionalità, un dilemma a cui non so darmi una risposta.

(continua nel prossimo post)

martedì 16 aprile 2013

25 Aprile a Udine

Riporto di seguito la fotocopia della lettera che il sindaco Furio Honsell ha inviato a tutti gli iscritti dell'ANPI Udine come invito di partecipazione alle cerimonie che si terranno nella città Medaglia d'Oro della Resistenza in occasione della giornata della Liberazione dal nazi-fascismo.
Non mi soffermo sulle parole particolarmente toccanti che non possono che rendermi orgoglioso di essere parte di questa grande organizzazione democratica, ma riporto a modo esemplificativo il nome del comitato, presieduto da Furio Honsell, che ha composto l'invito:

COMITATO PER LA DIFESA DELL'ORDINE DEMOCRATICO 
E DELLE ISTITUZIONI REPUBBLICANE

                                                          (per lo zoom, clicca sull'immagine)       

sabato 6 aprile 2013

Il mulino e il parco

Camminando per via Molini è possibile osservare un nuovo curioso progetto prender forma proprio dietro al decadente mulino di Bosa: la realizzazione di una nuova pista ciclabile di accesso al Parco delle Risorgive. Con la delibera numero 136 del 18 Giugno 2012, la giunta comunale ha approvato la costruzione di questo nuovo accesso al biotopo delle risorgive di Codroipo, esattamente di fronte al ponte pedonale sul Corno che collega via Mulini al Belvedere. Con la stessa delibera, il comune approva inoltre il rifacimento della copertura (del tetto, per dirlo in parole semplici) del vicino mulino di Bosa. 
Insomma una novità che non tarderanno a notare gli assidui frequentatori del parco nostrano. La realizzazione della nuova pista ciclabile, con annesso ponte sulla roggia S. Odorico, creerà un nuovo ingresso al parco all'altezza del secondo prato - per intenderci quello con il grosso albero al centro che funge da curva per la strada. Le ragioni che spingono alla creazione di questo secondo ingresso non sono chiare, probabilmente sono dovute al desiderio di aumentare l'affluenza dei visitatori, creando un ingresso più comodo e vicino per coloro che provengono dalla zona del Belvedere (per accedervi, costoro sono ora costretti ad andare fino al campo sportivo, ma immagino che per chi desidera farsi una camminata nel Parco delle Risorgive non sia affatto un disagio allungare di un paio di minuti la propria camminata).
Un'altra ipotesi, e a mio parere la più plausibile, è collegata alla seconda decisione approvata dalla delibera: la riparazione del tetto del mulino di Bosa. Da tempo si parlava nei palazzi del comune, già da prima dell'insediamento della giunta Marchetti, di riqualificare il mulino trasformandolo in una sorta di struttura turistico-naturalistica dove realizzare delle mostre statische sulla flora e la fauna locale, e delle attrazioni per le scolaresce col fine di avvicinare i bambini alla natura.
Insomma un progetto che non può che trovare pareri favorevoli se realizzato con queste finalità, l'unica incognita rimane il finanziamento, che in tempo di vacche magre si sà stenta ad arrivare. Per il momento i lavori della pista ciclabile sono stati avviati, speriamo che per la riqualificazione del mulino di Bosa non dovremmo aspettare troppi anni.

martedì 2 aprile 2013

Vincitori e vinti

In seguito alla chiusura drastica e finale compiuta dal Movimento 5 Stelle su possibili collaborazioni governative con altre forze politiche, lo scenario politico italiano rimane incerto, vedendo il prolungamento di quella crisi dello Stato che mette a rischio, ora più che mai, la stabilità del sistema democratico italiano. Non è mia intenzione soffermarmi su una possibile soluzione a questo stallo alla messicana (per citare i film western), di questo se ne stà già occupando il presidente Napolitano che certamente ha più esperienza e capacità di analisi rispetto al sottoscritto. Mi preme invece analizzare le conseguenze della proposta avanzata da Beppe Grillo e che nel mio chiaccherar quotidiano ho scoperto essere condivisa da un discreto numero di miei concittadini: un governo a guida 5 Stelle.
Innazitutto voglio chiarire il fatto che ritengo questa proposta una mera azione politica, priva di fondamento e di applicabilità, scaturita da un clima di vittoria mutilata per il Centro-Sinistra che porta quindi il maggior "movimento" italiano ad alzare le proprie richieste, facendo leva su un sentimento diffuso tra gli elettori che li vede come veri vincitori della tornata elettorale. Una vittoria come detto "mutilata" per il Centro-Sinistra che ottiene la maggioranza con un misero 29%, contro quel 25% ottunuto dal M5S al suo primo appuntamento elettorale. Un'opinione personale più che prettamente realistica pare quindi essere alla base di questa logica. Nonostante il risultato rappresenti un fallimento per la leadership politica del PD e dei suoi alleati, il Centro-Sinistra ha ottenuto la maggioranza dei voti e questo gli dà il diritto di essere la forza che dovrà comporre il nuovo governo. 
Il compito delle elezioni è quello di stabilire dei vincitori  e dei vinti. I primi hanno il diritto e il dovere, in seguito alla vittoria conseguita, di formare un governo, mentre i vinti hanno il compito di andare a comporre le fila dell'opposizione a tale governo (od eventuale a parteciparvi in certe misure e in certi limiti decisi dai vincitori). Nel caso in cui tale non governo non sia guidato dalla forza uscita vincitrice, si creerebbe una storpiatura nel sistema elettorale che non sarebbe quindi più in grado di decretare chi abbia la prerogativa nella formazione del governo e chi no. Questo provocherebbe un precedente che destablizzerebbe sensibilmente il sistema democratico, privandolo del suo strumento principale per la legittimazione delle istituzioni e del governo. Un sistema elettorale che non stabilisce vincitori e vinti è un sistema che è per sua natura instabile, perchè le istituzioni sono messe continuamente in discussione grazie ad una sorta di by pass che, attraverso la mobilitazione popolare, mina alla base la legittimità del governo e quindi vanifica il significato delle votazioni elettorali.
Nel concludere, la pericolostà di una logica di questo tipo - del consegnare l'incarico governativo nelle mani di una forza uscita sconfitta dalle elezioni, ma ritenuta vincitrice nell'opinione generale dell'elettorato - nasconde i germogli della destabilizzazione del sistema democratico. Un pericolo mortale per la nostra fragile democrazia, che può ritrovare stabilità solo con un riforma del sistema elettorale (eliminando il micidiale semi-maggioritario "Porcellum") e attraverso un'accresciuta visione critica e civica dei suoi cittadini, la vera forza stabilizzatrice in tutti i sistemi democratici.