martedì 16 luglio 2013

Due pesi e due misure

Ascoltando l'intervista a un giornalista del "Foglio" (il giornale di Giuliano Ferrara per intenderci) a Skytg 24, ho osservato un fatto curioso che da diverso tempo ormai si palesa in diversi salotti televisivi e non: l'equiparazione storica.
Con questo termine intendo definire una specifica operazione che punta alla cancellazione della memoria collettiva attraverso un lento processo di equiparazione forzata tra diversi avvenimenti o periodo storici. Nello specifico, il giornalista del "Foglio" pretendeva di equiparare gli insulti razzisti che il vice-presidente del Senato Roberto Calderoli ha rivolto al Ministro dell'immigrazione Cecile Kyenge, ai diversi soprannomi che in questi ultimi dieci anni sono stati affibbiati a Silvio Berlusconi (il giornalista riportava come esempio il famoso "psiconano" di Beppe Grillo, ma ne esistono molti altri come "il caimano", "papi", "er catrame" e via discorrendo). Chiaramente l'equiparazione è priva di fondamento trattandosi nel primo caso di un insulto razziale, mosso verso un individuo unicamente per il diverso colore della pelle che lo contraddistingue e che quindi rievoca i toni e la violenza tipici della cultura colonialista di metà Ottocento; mentre nel secondo caso si tratta di semplici astrazioni di caratteristiche che l'individuo oggetto di offesa ha esternalizzato nel corso della sua carriera politica (per un esempio "papi" nasce dalle serate trascorse in compagnia di avvenenti signore nella villa di Arcore). Per di più mentre la prima tipologia di insulto può scatenare una sorta di collettiva aggressività nei confronti di un determinato ceppo etnico (in questo caso quello africano), nel secondo caso si tratta per lo più di una sorta di bullismo (anche se in realtà il soggetto offeso ha tutti gli strumenti per difendersi, come ha più volte dimostrato) che non può essere generalizzato contro altri soggetti.
Questo fenomeno di equiparazione è osservabile anche in altri ambiti, come nel caso della storia del Movimento di Liberazione dove si afferma che i partigiani e i fascisti fossero sullo stesso piano dato che entrambi hanno commesso omicidi e violenze. Un giudizio pericoloso perchè la storia non è equa, esistono cioè fazioni che possono essere considerate nel giusto perchè promuovono la libertà individuale e il progresso dell'umanità, e fazioni che invece sono nel torto perchè promuovo logiche di predomino e di oppressione. Agli occhi della storia quindi le violenze e gli omicidi commessi dalla fazione che si trova nel giusto (sempre che questa dimostri che si trattano di eventi saltuari e non sistematici) sono tollerabili come errori o divagazioni sulla strada del progresso, mentre nel caso della fazione che si trova nel torto questi sono sistematici e quindi condannati in toto. 
L'uomo ha bisogno di esempi con cui confrontarsi, se cancelliamo la distinzione tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, se tutto viene equiparato allo stesso livello, la macchina del progresso sociale e individuale è destinata irrimediabilmente ad arrestarsi.

domenica 7 luglio 2013

Una barbarie senza tempo

Quando ieri pomeriggio aprendo il sito della Gazzetta dello Sport ho visto il reportage quasi non credevo alle parole che stavo leggendo, mi sembrava di leggere un quotidiano della Transilvania del Cinquecento e invece era terribilmente attuale, una news arrivata direttamente dal Brasile, e cioè dall'altra parte del mondo rispetto alla patria del noto conte Dracula (al tempo "Vlad l'impalatore").
In una cittadina nello stato del Maranhao, nel nord est del paese, durante una partita nel locale stadio di calcio, Otavio de Silva arbitro ventenne delle federazione calcistica brasiliana, accoltella a morte Josenir dos Santos Abreu, calciatore trentaduenne, dopo che questi contesta in modo vivace con calci e urla la decisione del giovane arbitro.
Alcuni tifosi presenti nello stadio, molto probabilmente amici del giocatore ferito a morte, invadono il campo e dopo aver inseguito, catturato, legato, picchiato, lapidato ed infine squartato l'arbitro, non soddisfatta la loro sete di sangue decidono di decapitarne il corpo e di impalare la testa portandola in giro per lo stadio come trofeo. Un gesto che forse solo i transilvani del Cinquecento o i romani del tardo impero hanno visto commettere con altrettanta brutalità; insomma una violenza degna di un orda barbarica.
Una vicenda che non può che lasciare allibiti per la bestialità che esprime, due ragazzi sono morti per un motivo futile: una contestazione arbitrale. Purtroppo non è il primo episodio, anche le tifoserie nostrane ci hanno dimostrato come un mix di tensione sociale, assembramento popolare e forte emotività, porti le persone a tirare fuori il loro lato più bestiale, lasciandosi andare a gesti macabri e ad una violenza agghiacciante.
Purtroppo in questi casi è difficile trovare la cause di un simile comportamento perchè bisogna entrare nella psiche collettiva, analizzare a fondo da un punto di vista sociologico la popolazione, scendere insomma ad un livello così interiore e profondo dell'animo umano che risulta difficile fare una sintesi. L'unica possibilità che abbiamo è quella di cercare di disinnescare la bomba sociale prima che esploda, attraverso l'attività di controllo della folla da parte degli stewards, l'educazione civile dei giocatori e di tutto lo staff sportivo (gesti come un "vaffa" sembrano insignificanti ma se moltiplicati e commessi da personaggi popolari per il grande pubblico, portano ad indebolire l'autorità degli arbitri e del personale dirigente e quindi ad innescare la rivolta) e infine attraverso un'educazione civica anche del pubblico che deve capire che allo stadio si va per godersi una giornata di sano sport e non per sfogare la rabbia repressa contro le tifoserie avversarie o, in questo caso, contro un singolo capro espiatorio (anche se in questo caso bestiale tanto quanto i suoi carnefici).