giovedì 11 gennaio 2018

Lettera ad un liberale immaginario

di Adriano Bertolini

In risposta ad "Siam fascisti" di Adriano Petri - il Paese n. di dicembre, p.13 



Beh, quando si cita Longanesi bisogna conoscerlo bene, per non rischiare autogoal considerandolo campione del pensiero liberale. Longanesi fu fascista convinto, fino alla fine di Mussolini; allora, improvvisamente fu folgorato sulla via di  Damasco e fondò una casa editrice che occupava spazi liberi nel gracile e sfrangiato ambito della cultura liberale del dopoguerra; la stessa, peraltro, grossolanamente sbeffeggiata dalle colonne della stampa fascista che Longanesi aveva diretto quando, tra una sbronza e l’altra con l’amico  Balbo (di cui anche in Friuli c’era viva memoria), inventava il motto “Mussolini ha sempre ragione”. Quando si sostiene che  fascismo ed antifascismo sono le due facce della stessa medaglia” si evoca  uno dei problemi centrali della cultura politica italiana: la debolezza congenita della cultura democratica del mondo liberale che il Longanesi stesso ama chiamare “borghese”(ma sempre con il vezzo del paradosso.) L’ondeggiare di Longanesi tra posizioni anarcoidi e simpatie per l’autoritarismo fascista è una costante nel panorama politico culturale italiano del ‘900; denuncia il disagio e l’inadeguatezza di ceti sociali di fatto incapaci di farsi classe dirigente del Paese in un momento di trasformazione sociale nelle società industriali. Le radici di questo fenomeno sono strutturali, insite nella genesi del nostro Paese con tutti i vizi culturali che l’accompagnano, dalla Controriforma in poi, a guardare lontano.

 E tuttora partiti e capipartito che si dichiarano liberali, si alleano disinvoltamente con formazioni di orientamento politico  autoritario ed antidemocratico, ostentano per contro insofferenza nei confronti delle regole e dello Stato democratico. Che ci sia alle viste una dittatura in nome dell’antifascismo è un paradosso risibile, buono per gli aforismi vezzosi e disinvolti di Longanesi; il un pensiero politico è ben altro da un atteggiamento culturale (“Il paradosso è il lusso delle persone di spirito, la verità è il luogo comune dei mediocri.”). Che ci sia una riduzione degli spazi di democrazia reale è invece un fatto che prende corpo con la crisi finanziaria che li ha ristretti, peggiorando le condizioni di vita di milioni di Italiani ed europei sacrificando i bisogni primari di larghe fasce di popolazione. E tra i bisogni primari vi è l’esercizio della libertà reale, quella di vivere e crearsi il futuro con il proprio lavoro che, come recita la nostra Costituzione, è fondamento della vita sociale e della democrazia ma anche condizione di progresso. In realtà, c’è il pericolo di una dittatura: quella dell’ignoranza storica e civile a cui, la pelosa smemoratezza di pretesi benpensanti e la debolezza del timido pensiero neo-progressista hanno permesso di assurgere a valore politico e che storicamente è stata brodo di coltura del fascismo. Mettere sullo stesso piano  Comunismo e fascismo, comunismo sovietico e partito comunista italiano finanche i suoi disorientati eredi di oggi, vuol dire non conoscere la storia politica d’Italia e comunque costruirci sopra una opinione politica pregiudiziale.

Proporre poi  la teoria degli opposti estremisti che si equivalgono è un poco stantio; non ha portato bene  a chi l’ha cavalcata in recente passato, ma soprattutto ha falsato, bloccandolo  per decenni, il dibattito e lo sviluppo della democrazia italiana. Il cerchiobottismo non funziona, non basta a  definire un pensiero democratico e non è sufficiente a definire un pensiero politico, neanche a definire un’area di pensiero; è solo una posizione di comodo, anche un poco farisea, che crea confusione. Bisogna entrare nel merito, storico e politico se non si vuole propinare la solita aria fritta, farcita con i luoghi comuni che ormai, per fortuna, annoiano le persone di buon senso e buona volontà ma anche disorientano e tengono lontano la metà degli elettori italiani. Quell’armamentario è estraneo, soprattutto, per tanti giovani di una generazione estraniata che la storia dell’Italia democratica l’ha conosciuta solo dalla grottesca caricatura propinata per anni dalle battute dei tanti guitti delle televisioni commerciali (ma non solo) sulle quali hanno fondato la loro (in)cultura politica e coscienza sociale. Non furono in molti nel campo liberale a manifestare dissenso od almeno disagio.
Nonostante il cerchiobottismo dichiarato, comunque, alla fine il cuore dei liberali nostrani storicamente batte sempre da una parte ed il nemico è sempre a sinistra. A costo di far sparire la questione fascismo liquidandola “una tantum”:il fascismo non esiste più, è storia passata e chiusa; come se il fascismo fosse solo una esperienza storica politica e non il frutto di un sistema culturale di disvalori presenti nella società.  Ma i comunisti no, quelli sono tra noi (diciamo, almeno i loro eredi, per non cadere nel ridicolo assoluto). Ed il gioco è fatto ed i conti tornano. Ma le carte che si pensa di dare così, non sono più quelle del gioco di oggi. In questa realtà sociale economica e politica destrutturata, in questa stagione di problemi reali concreti non si può rispondere con le vecchie parole magiche. Al di là dei nominalismi partitici, spesso fuorvianti, esistono ora, come cent’anni fa, due campi.

Uno è quello che, tra errori gravi ed omissioni, ha costruito la democrazia in questo Paese sulla base della cultura politica cattolica democratica e di quella socialista legate  all’esperienza della lotta di liberazione dalla dittatura e volte a realizzare le istanze ed i valori positivi condensati nella Costituzione. Fu il momento fondativo dello Stato democratico italiano che vide il contributo anche del pensiero politico liberale nobile del ‘900  e condusse, nei decenni successivi, allo sviluppo economico ed al massimo momento di democrazia partecipativa nel nostro Paese. Fu un’ epoca travagliata, certo, e piena di contraddizioni gravi che ancora paghiamo, in cui però il Paese crebbe sotto tutti gli aspetti. Furono gli anni della conquista cosciente dei diritti civili e sociali che ora stiamo perdendo per noi e per le nuove generazioni; gli anni in cui era possibile la mobilità sociale, vero termometro del progresso, di cui sono testimoni i figli di muratori e contadini diplomati e laureati a quel tempo, con la possibilità di diventare classe dirigente e comunque padroni del proprio futuro; così le donne, comparse a pieno titolo nella vita civile e nel mondo del lavoro; furono gli anni della tutela della salute e dei diritti nel mondo del lavoro, del riconoscimento della dignità di questo e del suo valore sociale.  Erano tutti diritti ignorati, se non negati dal fascismo e conculcati dalle forze sociali ed economiche che lo avevano sostenuto,  sconosciuti all’esperienza italiana di prima ancora della dittatura. Non so cosa centri tutto questo con i crimini del Comunismo di Stalin che lei vuole condivisi a tutti i costi da una parte essenziale dei protagonisti della democrazia italiana. Lei (Adriano Petri, ndr) tira in ballo i nostalgici italiani del Comunismo sovietico; non ne ho mai conosciuti; nostalgici di quando si stava meglio, sì! Forse qui gli orfani sono altri, peraltro di un padre sconosciuto, visto che il liberalismo italiano militante ha avuto il suo epilogo tanti anni fa ed ora purtroppo c’è rimasto solo quello che si è ridotto ad un certo liberalismo straccione (parafrasando Gramsci, ma qualcosa in proposito la disse il dimenticato liberale Piero Gobetti).

Nell’altro campo, ponendosi in maniera acritica di fronte alla inaudita crisi provocata dal mondo finanziario (sulle spalle del mondo della produzione e dell’economia reale), si predica liberismo  economico: meno tasse per chi può,  meno Stato, meno regole alle imprese e tra cittadino debole  e cittadino forte; si sceglie di comprimere di fatto i diritti civili, del mondo del lavoro, i redditi più bassi, predicando la riduzione di quelle sicurezze sociali che hanno garantito il progresso di un secolo nelle società europee più avanzate, considerandole un limite allo sviluppo. Questi paladini della (propria) libertà si alleano peraltro con chi vuole uno Stato etico, centralizzato ed autoritario, con grottesche nostalgie fasciste ed un razzismo casereccio da destra sociale borgatara; forze politiche che cavalcano il disagio sociale attribuendone le cause a chi è ancora più emarginato; ma questi eredi immaginari del liberalismo, si alleano anche con chi vuole maggiore autonomia, se non indipendenza, per fantomatiche entità territoriali-etnico-culturali, contraddicendo ineffabilmente la propria storia . Gli schieramenti sono più o meno artificialmente articolati, ma i campi sono due.


Lei da che parte sta? Speriamo dalla parte giusta, perché sa: la Storia dice che quando nacque il fascismo, a molti liberali era già successo di non vederci bene!

lunedì 16 dicembre 2013

La protesta dei forconi

 
I "forconi" a Torino
Osservo con crescente preoccupazione quello che sta accadendo nelle piazze delle principali città italiane dove da quasi sette giorni ormai prosegue la cosiddetta "protesta dei forconi". Molte sono le analisi fatte dai vari commentatori politici sulle principali testate giornalistiche italiane, ma una particolare attenzione riserverei a quella proposta da Claudio Sardo su L'Unità di domenica 15 dicembre, soprattutto per il percorso di analisi che presenta.
Sardo parte dalla constatazione che i principali leader della protesta, anche se difficili da identificare per via della consistenza molto confusa delle richieste e della fasce sociali che vi partecipano, sono di estrazione berlusconiana. Partendo da Mariano Ferro, che diede vita alla protesta dei forconi in Sicilia proprio all'indomani della vittoria di Rosario Crocetta e quindi alla sconfitta per il centro-destra diviso tra il berlusconiano Sebastiano Musumeci e l'autonomista Giovanni Micciché. Una sconfitta che cambiò radicalmente gli equilibri di potere in Sicilia, consolidati ormai lungo l'asse PDL-MPA in quanto eredi del sistema di potere democristiano. 
Sulla stessa linea, la "protesta dei forconi" prende piede il 9 dicembre, circa 12 giorni dopo il voto che ha confermato la decadenza di Silvio Berlusconi dal parlamento. Appare quindi il legame che esiste tra le vicende del leader del Centro-Destra e questa protesta che si arroga il diritto di rappresentare tutto il popolo italiano. Altro elemento da tenere in considerazione nel confermare questo legame di cui ci parla con chiarezza Sardo, ma non solo, è la natura delle richieste che provengono dalla piazza, in primis le dimissioni di un governo che i "forconi" ritengono illegittimo, proprio all'indomani della decisione della nuova Forza Italia di ritirare il suo sostegno al premier Letta. Altri temi sono difficili da individuare in quel marasma di malumori che caratterizza queste piazze, saltano all'occhio la richiesta di uscire dall'euro, le dichiarazioni di sostegno al leader nazionalista ungherese Viktor Orbàn, le frasi antisemite, l'escalation della violenza, fisica e verbale, ma soprattutto l'avversione verso Equitalia. Un insieme di populismo, anti-statalismo e nichilismo che rappresentano il nocciolo della cultura politica proposta per vent'anni dal centrodestra berlusconiano.
Non possiamo considerare questa protesta frutto di una operazione di Silvio Berlusconi e del suo team politico, essa si caratterizza come la reazione di quella parte consistente del elettorato berlusconiano che con la fine del suo ventennale leader, non è riuscita a trovare un'altra rappresentanza nel Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano o nel Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, e che ha coagulato intorno a se la disperazione di alcune di quelle fasce sociali che sono state maggiormente colpite dalla Crisi (esodati, piccoli commercianti, ambulanti, "padroncini", piccoli autotraspostatori).
Infine nel concludere ritengo che la soluzione a quello che risulta essere un elemento di forte instabilità per la democrazia, rappresentato anche dal gesto di sostegno di alcuni membri delle forze dell'ordine che hanno abbandonato quella neutralità politica che devono necessariamente possedere, sia ritrovabile nella crisi del centro-destra. Se questi saprà uscire dal trauma del post-Berlusconi riconsolidando il suo elettorato intorno a una forza politica democratica e riconducibile ai partiti popolari europei, il sistema democratico si riconsoliderà; se invece questa operazione dovesse fallire, le forze democratiche, che rimarrebbero quindi rappresentate unicamente dalle sinistre e dai sindacati, temo non avranno la forza per poter contenere questa spinta distruttiva e anti-sistemica. 
In democrazia gli schieramenti politici devono affrontarsi utilizzando i meccanismi che il sistema mette loro a disposizione e legittimandosi a vicenda, se invece buona parte di queste decide di ricorre a strumenti diversi per catturare il consenso (come la demagogia e il populismo che portano alla demonizzazione dell'avversario e quindi alla sua delegittimazione), inevitabilmente il sistema sarà destinato a collassare.