In risposta ad "Siam fascisti" di Adriano Petri - il Paese n. di dicembre, p.13
Beh, quando si cita Longanesi bisogna
conoscerlo bene, per non rischiare autogoal considerandolo campione del
pensiero liberale. Longanesi fu fascista convinto, fino alla fine di Mussolini;
allora, improvvisamente fu folgorato sulla via di Damasco e fondò una casa editrice che
occupava spazi liberi nel gracile e sfrangiato ambito della cultura liberale
del dopoguerra; la stessa, peraltro, grossolanamente sbeffeggiata dalle colonne
della stampa fascista che Longanesi aveva diretto quando, tra una sbronza e
l’altra con l’amico Balbo (di cui anche
in Friuli c’era viva memoria), inventava il motto “Mussolini ha sempre
ragione”. Quando si sostiene che “fascismo ed antifascismo sono le due facce
della stessa medaglia” si evoca uno dei
problemi centrali della cultura politica italiana: la debolezza congenita della
cultura democratica del mondo liberale che il Longanesi stesso ama chiamare “borghese”(ma
sempre con il vezzo del paradosso.) L’ondeggiare di Longanesi tra posizioni
anarcoidi e simpatie per l’autoritarismo fascista è una costante nel panorama politico
culturale italiano del ‘900; denuncia il disagio e l’inadeguatezza di ceti
sociali di fatto incapaci di farsi classe dirigente del Paese in un momento di
trasformazione sociale nelle società industriali. Le radici di questo fenomeno
sono strutturali, insite nella genesi del nostro Paese con tutti i vizi
culturali che l’accompagnano, dalla Controriforma in poi, a guardare lontano.
E
tuttora partiti e capipartito che si dichiarano liberali, si alleano disinvoltamente
con formazioni di orientamento politico
autoritario ed antidemocratico, ostentano per contro insofferenza nei
confronti delle regole e dello Stato democratico. Che ci sia alle viste una
dittatura in nome dell’antifascismo è un paradosso risibile, buono per gli
aforismi vezzosi e disinvolti di Longanesi; il un pensiero politico è ben altro
da un atteggiamento culturale (“Il paradosso è il lusso delle
persone di spirito, la verità è il
luogo comune dei mediocri.”). Che ci sia una riduzione
degli spazi di democrazia reale è invece un fatto che prende corpo con la crisi
finanziaria che li ha ristretti, peggiorando le condizioni di vita di milioni
di Italiani ed europei sacrificando i bisogni primari di larghe fasce di popolazione.
E tra i bisogni primari vi è l’esercizio della libertà reale, quella di vivere
e crearsi il futuro con il proprio lavoro che, come recita la nostra Costituzione,
è fondamento della vita sociale e della democrazia ma anche condizione di
progresso. In realtà, c’è il pericolo di una dittatura: quella dell’ignoranza
storica e civile a cui, la pelosa smemoratezza di pretesi benpensanti e la
debolezza del timido pensiero neo-progressista hanno permesso di assurgere a
valore politico e che storicamente è stata brodo di coltura del fascismo.
Mettere sullo stesso piano Comunismo e
fascismo, comunismo sovietico e partito comunista italiano finanche i suoi disorientati
eredi di oggi, vuol dire non conoscere la storia politica d’Italia e comunque
costruirci sopra una opinione politica pregiudiziale.
Proporre poi la teoria degli opposti estremisti che si
equivalgono è un poco stantio; non ha portato bene a chi l’ha cavalcata in recente passato, ma
soprattutto ha falsato, bloccandolo per
decenni, il dibattito e lo sviluppo della democrazia italiana. Il cerchiobottismo non funziona, non basta a definire un pensiero democratico e non è
sufficiente a definire un pensiero politico, neanche a definire un’area di
pensiero; è solo una posizione di comodo, anche un poco farisea, che crea
confusione. Bisogna entrare nel merito, storico e politico se non si vuole
propinare la solita aria fritta, farcita con i luoghi comuni che ormai, per
fortuna, annoiano le persone di buon senso e buona volontà ma anche
disorientano e tengono lontano la metà degli elettori italiani.
Quell’armamentario è estraneo, soprattutto, per tanti giovani di una
generazione estraniata che la storia dell’Italia democratica l’ha conosciuta
solo dalla grottesca caricatura propinata per anni dalle battute dei tanti
guitti delle televisioni commerciali (ma non solo) sulle quali hanno fondato la
loro (in)cultura politica e coscienza sociale. Non furono in molti nel campo liberale a manifestare dissenso od
almeno disagio.
Nonostante il cerchiobottismo dichiarato, comunque,
alla fine il cuore dei liberali nostrani
storicamente batte sempre da una parte ed il nemico è sempre a sinistra. A
costo di far sparire la questione fascismo liquidandola “una tantum”:il
fascismo non esiste più, è storia passata e chiusa; come se il fascismo fosse
solo una esperienza storica politica e non il frutto di un sistema culturale di
disvalori presenti nella società. Ma i
comunisti no, quelli sono tra noi (diciamo, almeno i loro eredi, per non cadere
nel ridicolo assoluto). Ed il gioco è fatto ed i conti tornano. Ma le carte che
si pensa di dare così, non sono più quelle del gioco di oggi. In questa realtà
sociale economica e politica destrutturata, in questa stagione di problemi
reali concreti non si può rispondere con le vecchie parole magiche. Al di là
dei nominalismi partitici, spesso fuorvianti, esistono ora, come cent’anni fa,
due campi.
Uno è quello che, tra errori gravi ed
omissioni, ha costruito la democrazia in questo Paese sulla base della cultura
politica cattolica democratica e di quella socialista legate all’esperienza della lotta di liberazione
dalla dittatura e volte a realizzare le istanze ed i valori positivi condensati
nella Costituzione. Fu il momento fondativo dello Stato democratico italiano
che vide il contributo anche del pensiero politico liberale nobile del ‘900 e condusse, nei decenni successivi, allo
sviluppo economico ed al massimo momento di democrazia partecipativa nel nostro
Paese. Fu un’ epoca travagliata, certo, e piena di contraddizioni gravi che
ancora paghiamo, in cui però il Paese crebbe sotto tutti gli aspetti. Furono gli
anni della conquista cosciente dei diritti civili e sociali che ora stiamo
perdendo per noi e per le nuove generazioni; gli anni in cui era possibile la
mobilità sociale, vero termometro del progresso, di cui sono testimoni i figli
di muratori e contadini diplomati e laureati a quel tempo, con la possibilità
di diventare classe dirigente e comunque padroni del proprio futuro; così le
donne, comparse a pieno titolo nella vita civile e nel mondo del lavoro; furono
gli anni della tutela della salute e dei diritti nel mondo del lavoro, del
riconoscimento della dignità di questo e del suo valore sociale. Erano tutti diritti ignorati, se non negati
dal fascismo e conculcati dalle forze sociali ed economiche che lo avevano
sostenuto, sconosciuti all’esperienza
italiana di prima ancora della dittatura. Non so cosa centri tutto questo con i
crimini del Comunismo di Stalin che lei vuole condivisi a tutti i costi da una
parte essenziale dei protagonisti della democrazia italiana. Lei (Adriano Petri, ndr) tira in ballo
i nostalgici italiani del Comunismo sovietico; non ne ho mai conosciuti; nostalgici
di quando si stava meglio, sì! Forse qui gli orfani sono altri, peraltro di un
padre sconosciuto, visto che il liberalismo italiano militante ha avuto il suo
epilogo tanti anni fa ed ora purtroppo c’è rimasto solo quello che si è ridotto
ad un certo liberalismo straccione (parafrasando Gramsci, ma qualcosa in
proposito la disse il dimenticato liberale Piero Gobetti).
Nell’altro campo, ponendosi in maniera
acritica di fronte alla inaudita crisi provocata dal mondo finanziario (sulle
spalle del mondo della produzione e dell’economia reale), si predica liberismo economico: meno tasse per chi può, meno Stato, meno regole alle imprese e tra
cittadino debole e cittadino forte; si
sceglie di comprimere di fatto i diritti civili, del mondo del lavoro, i
redditi più bassi, predicando la riduzione di quelle sicurezze sociali che
hanno garantito il progresso di un secolo nelle società europee più avanzate,
considerandole un limite allo sviluppo. Questi paladini della (propria) libertà
si alleano peraltro con chi vuole uno Stato etico, centralizzato ed autoritario,
con grottesche nostalgie fasciste ed un razzismo casereccio da destra sociale
borgatara; forze politiche che cavalcano il disagio sociale attribuendone le
cause a chi è ancora più emarginato; ma questi eredi immaginari del
liberalismo, si alleano anche con chi vuole maggiore autonomia, se non
indipendenza, per fantomatiche entità territoriali-etnico-culturali,
contraddicendo ineffabilmente la propria storia . Gli schieramenti sono più o
meno artificialmente articolati, ma i campi sono due.
Lei da
che parte sta? Speriamo dalla parte giusta, perché sa: la Storia dice che quando
nacque il fascismo, a molti liberali era
già successo di non vederci bene!
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