giovedì 18 marzo 2010

Il Ventennio Fascista - una pesante eredità

Negli anni succesivi al Primo conflitto mondiale l'Italia vide un improvviso aumento di tumulti dovuti all'insoddisfazione popolare causata dalle enormi sofferenze patite durante la guerra e agli scarsissimi risultati ottenuti al tavolo delle trattative internazionali. Nel biennio 1919-20 i Socialisti danno il via nelle aree industriali ad una serie di lotte operaie e nelle campagne dirigono le numerose rivolte contadine. Questa "ondata rossa" preoccupa enormemente le classi sociali più agiate, si teme lo scoppio di una rivoluzione comunista come accaduto in Russia due anni prima. Alfine di scongiurare tale pericolo, alcuni gruppi di militari in congedo, decidono di impugnare le armi e di contrastare con la forza i "Sovversivi Rossi". Iniziano così una serie di sanguinosi scontri tra Manifestanti e Camice Nere (questo è il nome adotatto da questi ex-militari che indossano, per riconoscersi, camicie di quel colore), quest'ultime vengono viste di buon occhio dall'alta borghesia e dalle forze politiche perchè contribuiscono a ristabilire l'ordine nelle città e nelle campagne. Nel 1921 il loro leader, Benito Mussolini, decide di fondare un partito nel quale inquadrare questi corpi paramilitari e dargli così legittimità politica. Fonda il Partito Nazional Fascista (PNF) che nel giro di pochi anni ottiene l'incarico di governo e da vita ad una dittatura. Tra il 1925 e il 1926 con l'introduzione delle "Leggi Fascistissime" lo stato liberale italiano cessa di esistere e nasce la dittatura personale di Mussolini; una volta ottenuto il potere e messo a tacere gli avversari, il Duce del fascismo si dedica alla realizzazione del suo sogno: far diventare l'Italia una potenza mondiale. A cavallo tra gli anni '20 e '30 vengono realizzate una serie di opere pubbliche per modernizzare il paese e dare lavoro a tutta la popolazione: vengono bonificate le zone paludose (famosa quella dell'Agro Pontino), vengono costruite strade e ferrovie. Nel 1936 viene conquistata l'Etiopia e nasce "l'Impero Italiano"; con lo scoppio del secondo conflitto mondiale, l'Italia entra in guerra a fianco della Germania Nazista, in soli tre anni però si troverà nuovamente in ginocchio. Caduto il regime, e sconfitto il nazismo, inizia la ricostruzione post-bellica con il piano Marshall. Dopo alcuni anni, negli anni '50, un gruppo di nostalgici fonda una movimento che si rifarà all'Italia del Ventennio, nasce così "Ordine Nuovo". Lo scopo di questo movimento è quello di riportare il fascismo al potere, provocando caos e confusione in modo da costringere le forze politiche ad accettare un regime autoritario che imponga un nuovo ordine. Nel decennio 1969-1980, questo movimento para-politico si rende responsabile di una serie di attentati terroristici (strage alla stazione di Bologna, al treno Italicus, alla banca di Piazza Fontana, etc.) lo scopo è quello di uccidere il maggior numero di civili possibile e quindi di provocare quello stato di caos che aveva permesso, trent'anni prima, a Mussolini di prendere il potere. Nel 1976 nasce un'altro movimento, l'MSI (Movimento Sociale Italiano), anch'esso di matrice fascista, ma più moderato rispetto a Ordine Nuovo perchè si ispira all'esperienza della Repubblica Sociale Italiana del 1943. In conclusione il fascismo ha lasciato una eredità pesante i cui effetti non sono stati ancora oggi metabolizzati. Nelle nostre città esistono ancora moltissime strutture edificate durante il Ventennio, la nostra linea ferroviaria rispecchia ancora il progetto voluto dal Duce, il Codice Civile del 1942 è tutt'ora in vigore, ma oltre a questo l'eredità fascista include milioni di morti a causa del conflitto mondiale, delle violenze delle Camice Nere, degli attentati e delle stragi compiute in anni recenti. Alla luce di tutto ciò sorge spontanea una domanda: il benessere e il progresso di una nazione è superiore alle libertà personali? In altre parole, in politica "il fine giustifica i mezzi"?

6 commenti:

  1. il fine di uno stato dev'essere soltanto uno, cioè la felicità dei suoi cittadini. essa non è un optional, il contratto sociale risiede proprio in questo: io rispetto le regole e soggiacio ai tuoi ordini, tu in cambio mi assicuri protezione. succede però che per determinati meccanismi l'obiettivo primario di uno stato non è il più il benessere collettivo, ma una sorta di ambizione di potere. l'intero burattino insomma si muove grazie alle volontà di chi ha un po' di potere e ne vuole dell'altro. se l'azione risulta efficace lo stato può diventare potente, ma questo non significa che i suoi cittadini stiano meglio. se lo stato in cui vivi è molto potente, ma gli abitanti sono per lo più poveri, significa che c'è qualcosa che non va. uno stato reso potente dall'ambizione personale non può durare a lungo (a meno che non sia nettamente superiore tecnologicamente rispetto a tutti gli altri) perchè per potenziarsi deve espandersi e per espandersi deve fare la guerra (sebbene l'industria bellica sul momento possa dare un po' d'aria all'economia, poi le armi prodotte dovranno pur essere utilizzate). se il fine fosse la felicità di tutti come dovrebbe essere, allora sì che giustifica i mezzi, perchè non potrebbero essere incoerenti con esso. l'Italia di Mussolini invece era guidata dalla sete di potere e la guerra era l'unica conclusione possibile, e non uno sventurato caso che ne ha ostacolato la crescita.

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  2. Nessun dubbio che quanto scritto sia da Nicolò che da Lorenzo sia giusto e storicamente provato.
    Il mio problema è un altro: è normale che, dopo più di sessant'anni di storia, l'italia non riesca ancora a descrivere in maniera oggettiva questi eventi storici, producendo uno spirito critico nei giovani ed evitando il formarsi di gruppi filofascisti anacronistici se non peggio?
    Dal canto mio, non capisco come si possa inneggiare ancora oggi al fantomatico 'zio Benito' senza rendersi conto di ciò che si sta dicendo.

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  3. La cosa che non comprendo Lorenzo è perchè se come dicevi tu l'Italia di Mussolini aveva orientato tutta se stessa verso la guerra, al suo scoppio effettivo del conflitto fosse completamente impreparata e sopratutto anche quando fu pronta (metà del 1940 circa) era inefficente. Da questo deduco che o ancora una volta si è dimostrata la clamorosa inefficenza naturale dell' "uomo italico" o probabilmente il suo obiettivo era un'altro, per esempio la corsa all'Impero. Per quanto riguarda la questione sollevata da Andrea, credo che il punto sia il fatto che durante il Ventennio il paese ha visto un sviluppo rapidissimo e improvviso che lasciò tutti meravigliati e soprattutto appagati di se stessi e dello Stato che per la prima volta appariva forte in campo mondiale (se così si può dire), è per questo che il suo ricordo è ancora forte, per di più viste le crisi della politica repubblicana italiana (vedi Andreotti, Craxi e in parte Berlusconi) molti si domandano se non sia il caso di dare tutto il potere ad un uomo forte che tenga le redini del Paese (con il rischio però di ricadere in una rigida dittatura).

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  4. bramare la guerra e saper amministrare la guerra sono cose diverse. non che ci sia molto da vantarsi ad avere un esercito potente: significherebbe che lo stato spende molto in quello.

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  5. Credo anche io che l'Italia non sia stata pronta alla guerra per motivi tattici, più che d'intenzione. Gli italiani avevano il cervello ben lavato, e la guerra era il giusto modo per sfogare la rabbia atavica e riprendersi il buon vecchio 'impero romano'. Il non essersi mai messi alla prova con le tattiche moderne e la speranza di cavarsela come durante la prima guerra mondiale hanno fatto il resto.

    Il fascismo ormai è storia, come lo è il comunismo e l'impero romano, non ha senso rimpiangerlo, né ripeterlo, poiché ha già fallito.
    Io penso che nel 2010 una persona possa dare un'occhiata al di fuori dei confini, a quello che succede nel mondo, e comprendere che dare in mano il potere ad un dittatore non può portare ad un miglioramento e a una nuova fioritura. Dico questo soprattutto perché, non essendo noi la Russia, non possiamo sperare di far passare una dittatura inosservata o senza pagarne il prezzo in fatto di rapporti internazionali, e i rapporti internazionali sono ormai tutto quello che ci rimane.
    Il 'futuro' secondo me bisogna costruirlo guardando al 'futuro', non ripetendo il passato con i suoi errori. Questo significa finirla di dar credito alle destre che discriminano le altre razze, finirla di mitizzare "l'italiano" e l'Italia (concetti che per ora vedo molto deboli), finirla di aver paura delle differenze e soprattutto finirla di rinchiudersi in un passato che ormai non ha sbocchi. Sto parlando di non puntare a perdere i diritti che abbiamo guadagnato con tanto sangue, ma di rafforzarli e magari spiegarli ai paesi che ci metteranno giustamente in secondo piano tra qualche decennio, perché di solito è così che funziona la storia.

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  6. Concordo, l'unica via possibile è il progresso e quindi guardare al domani. Mi sono sempre lamentato con quegli esponenti di estrema sinistra (non farò nomi) che continuano a parlare di lotta di classe e di imperialismo occidentale; questi sono termini e realtà ormai morte e sepolte. Il problema Italiano è che la gente è molto egoista e non pensa che lo stato siamo NOI. Se lo stato è democratico, libero e competente, allora significa che anche la società è libera, democratica e intellettualmente evoluta; solo in una società così, in un Paese così, è possibile vedere una luce in fondo al tunnel e sperare in una crescita e in un progresso degno di lode.

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